FRANCESCO ZAVATTARO ARDIZZI
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A proposito di scultura

Aforismi, articoli e curiosità

Ipse dixit

11/27/2018

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"Otterrete la verità soltanto grazie alla scultura poiché quest'ultima obbliga l'artista a non trascurare nulla di quello che conta"
Edgar Degas
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La petite danseuse de quatorze ans, 1881. Edgar Degas.
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Ipse dixit

11/27/2018

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La danseuse espagneule, Edgard Degas
L'art n'est pas ce que tu vois, mais ce que tu fais voir aux autres.

Edgar Degas
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Ipse dixit

10/13/2018

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"Les artistes qui cherchent la perfection en tout sont ceux qui ne peuvent l'atteindre en aucune partie."

Eugène Delacroix
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Ipse dixit

9/14/2018

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Un artiste ne finit jamais vraiment son travail, il l'abandonne tout simplement.
​

​Paul Valery
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La creazione artistica

9/8/2018

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Seated Nude - Henri Matisse 1909
Créer, c’est le propre de l’artiste ; - où il n’y a pas création, l’art n’existe pas.

Creare, è la specificità dell'artista; dove non c'è creazione, non c'è arte.
​

​Henri Matisse. Sapreste trovare una definizione migliore dell'arte e del ruolo dell'artista?

Créer, c’est le propre de l’artiste ; - où il n’y a pas création, l’art n’existe pas. Mais on se tromperait si l’on attribuait ce pouvoir créateur à un don inné. En matière d’art, le créateur authentique n’est pas seulement un être doué, c’est un homme qui a su ordonner en vue de leur fin tout un faisceau d’activités, dont l’œuvre d’art est le résultat. C’est ainsi que pour l’artiste, la création commence à la vision. Voir, c’est déjà une opération créatrice, et qui exige un effort. Tout ce que nous voyons, dans la vie courante, subit plus ou moins la déformation qu’engendrent les habitudes acquises, et le fait est peut-être plus sensible en une époque comme la nôtre, où cinéma, publicité et magazines nous imposent quotidiennement un flot d’images toutes faites, qui sont un peu, dans l’ordre de la vision, ce qu’est le préjugé dans l’ordre de l’intelligence. L’effort nécessaire pour s’en dégager exige une sorte de courage ; et ce courage est indispensable à l’artiste qui doit voir toutes choses comme s’il les voyait pour la première fois : il faut voir toute la vie comme lorsqu’on était enfant ; et la perte de cette possibilité vous enlève celle de vous exprimer de façon originale, c’est à dire personnelle.

Henri Matisse : Écrits et propos sur l’art, Hermann Arts 2009 (1972)
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Javier Marin - CORPUS

8/24/2018

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Al Mudec di Milano (Museo delle Culture) fino al 9 settembre sarà visitabile la mostra intitolata "CORPUS", antologica dedicata allo scultore messicano Javier Marin (1962).
Le opere in mostra, molte di dimensioni monumentali, ripercorrono la produzione dell'artista.

Quasi tutte le opere di maggiori dimensioni sono realizzate in resina poliuretanica, materiale durevole e leggero, più pratico (ed economico) del bronzo.
Il segno di Marin è chiaramente distinguibile: l'artista incide le proprie opere modellate in argilla, le divide in conci, ne fa eseguire i calchi, ne ricava le copie in resina, ed infine riassembla i pezzi lasciando bene in evidenza le giunture.
Il taglio delle opere, da principio un mero processo tecnico per dividere in pezzi di dimensioni contenute le opere ciclopiche al fine di poterne eseguire calchi e copie in resina, ha assunto nel tempo una funzione a sé stante, cui l'artista ha voluto attribuire un valore decostruttivo-ricostruttivo.

Per eseguire le proprie opere l'artista si avvale di una equipe di artigiani che lo aiutano nelle fasi di realizzazione dei calchi e delle copie in resina, ma cui delega anche azioni con un valore estetico, laddove gli affida il riassemblaggio dei conci e la materiale "sutura" dei lembi, sovente con filo di ferro in piena vista.
In mostra sono presenti anche alcune fotografie dei propri collaboratori, e di questo lavoro di equipe. Marin non ha infatti voluto nascondere il lavoro di "bottega" che si cela dietro all'opera, ma al contrario ha voluto attribuivi uno specifico valore aggiunto.

La potenza delle sculture di Marin fa leva sulle grandi dimensioni delle opere, e sui richiami classici delle pose, michelangiolesche nella loro struttura e muscolatura, e precolombiane nelle fattezze espressive.
Nella foto in calce vi propongo un accostamento tra la Sibilla Delfica, affrescata da Michelangelo nella volta della Cappella Sistina, ed una "testa di donna" di Javier Marin.
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Come nasce una scultura: la "Madonna della Scala"

5/9/2018

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Come è nata l'idea di realizzare una scultura rappresentante la Madonna della Scala?
Essenzialmente lavorando sullo studio del bassorilievo di Michelangelo, conservato in Casa Buonarroti a Firenze, che ho avuto modo di ammirare nel corso di un periodo di studio svolto nell'estate del 2017 presso la "The Florence Academy of Art".
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Il bassorilievo originale, di Michelangelo Buonarroti.
Il bassorilievo

La “Madonna Della Scala” è un bassorilievo giovanile di Michelangelo Buonarroti (1475-1564). L’opera, considerata il primo lavoro pervenutoci di Michelangelo, è databile al 1491 circa.

La Vergine è ritratta di profilo, seduta su un blocco di pietra, col busto eretto e lo sguardo assorto. Solleva un lembo della veste per allattare, o forse proteggere, il Figlio assopito.
Il panneggio del vestito di Maria è composto da due vesti: una leggera, fine tunica che arriva fino ai piedi, ed un pesante manto dagli spessi drappeggi posato sulle spalle, raccolto con la mano sinistra. Il bimbo è nudo.
La critica ha osservato come la mano destra del Bambino, girata verso l’esterno, sia stata usata in seguito più di una volta dall'artista per simboleggiare l'abbandono del corpo al sonno od alla morte, come nella raffigurazione di Lorenzo de’ Medici (tombe medicee) o nella Pietà Bandini (Museo dell’Opera del Duomo).
Il disegno di studio

Lo studio dal vero del bassorilievo ha consentito di apprezzare la quantità di dettagli presenti e di valutarne ulteriori possibili interpretazioni.
L’abbandono del lattante in braccio alla madre, in una posizione del tutto innaturale, sembra rimandare al rigor mortis della croce, più che al sonno. Lo sguardo assorto della Madre potrebbe essere indizio della presa di coscienza del drammatico destino del Figlio, particolare esaltato dal contrasto con i giochi cui si dedicano i fanciulli ritratti sullo sfondo.
La rappresentazione della Vergine, colta mentre solleva un lembo della tunica per scoprire il seno e porgerlo al lattante, parrebbe al contempo un mezzo per enfatizzarne l’istintivo gesto di pudicizia.
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Lo studio del bassorilievo, eseguito a matita.
Nell'eseguire il disegno di studio (immagine a margine) sono state ridotte le proporzioni delle mani della Madonna e la muscolatura del Bambino, probabilmente enfatizzate dal giovane Michelangelo per conferire maggior effetto prospettico al bassorilievo.
La scultura a tutto tondo

Nell'eseguire il disegno di studio, è sorta l’idea di tentare una raffigurazione spaziale in tre dimensioni del capolavoro originale. Il "lato nascosto" del bassorilievo poteva infatti essere riprodotto a partire dagli indizi visibili nel bassorilievo, e messi in luce dal disegno di studio,
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Lo studio preparatorio si è concentrato innanzitutto sulla postura della Madonna, sullo studio delle vesti e sulla posizione del Bambino.
L'esame delle vesti ha evidenziato in particolare l'assoluta coerenza del drappeggio del mantello, raccolto con la mano destra ed appena visibile nel bassorilievo originale. Dalla posizione del piede destro è stato altresì possibile intuire la posizione della gamba, non visibile nel capolavoro. Lo stesso dicasi per il braccio destro.

Il risultato mi ha consentito di apprezzare maggiormente la postura scelta da Michelangelo per la Madonna, che nella vista spaziale a tutto tondo rende ancora più percepibile il senso di protezione e pudicizia nell'atto di scoprirsi il seno per allattare il Figlio.
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Per la modellazione della scultura ho scelto una creta a grana media, semirefrattaria. Al contempo ho scelto di ridurre la scala di rappresentazione a circa la metà del bassorilievo originale (approssimativamente 1/4). Ho predisposto un'armatura metallica ed una seduta in legno, sulla quale ho impostato l'opera, procedendo per affinamenti progressivi (foto 1)

Per addivenire all'opera finale, in bronzo, ho dovuto dapprima eseguire un calco siliconico del modellato in creta (foto 2, 3, 4). Dal calco è stato ricavato il positivo in cera (foto 5), e da questo il bronzo (tecnica "a cera persa"). Il bronzo è stato quindi cesellato, controllato e ritoccato (foto 6), ed infine patinato con acidi e solventi (foto 7).
​Positivo in cera, colata in bronzo, cesellatura e patina sono state materialmente eseguite dalla Fonderia Artistica Mapelli di Cesate (Milano).
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(foto 1) Il modellato in creta.
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(foto 4) Lo stampo completo (tre strati di silicone, e forma in gesso di supporto).
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(foto 2) Primo strato di silicone liquido per la realizzazione dello stampo.
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(foto 5) Positivo in cera, ritoccato, numerato e firmato.
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(foto 3) Secondo strato di silicone liquido per la realizzazione dello stampo.
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(foto 6) Bronzo cesellato, pronto per la verifica finale prima dell'applicazione della patina.
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(foto 6) L'opera completata, in bronzo patinato. Edizione n° 1/3, cm 39x25x17.
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L'opera esposta per la prima volta alla mostra "La luce dell'annuncio" presso lo Spazio Demarchi (3-31 maggio 2018).
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La luce dell'annuncio

4/28/2018

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Giovedì 3 maggio presso lo Studio Demarchi si è svolta l'inaugurazione della mostra "La luce dell'annuncio", personale del maestro astrattista Roberto Demarchi dedicata a temi tratti dai quattro vangeli, con la presentazione di una mia scultura in bronzo a tema votivo (Madonna della Scala, da Michelangelo).
La mostra è visitabile su appuntamento fino a giovedì 31 maggio (tel. 348-0928218).
Spazio espositivo Demarchi, corso Rosselli 11,  Torino.

A margine, alcune foto dell'inaugurazione.

Articolo di Andrea Donna sul sito ArteVita:
https://artevitasite.wordpress.com/2018/04/27/roberto-demarchi-presenta-francesco-zavattaro-ardizzi-scultore/
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Con il Maestro Demarchi
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"Madonna della Scala" (da Michelangelo)
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Si scrive "multiplo", si legge "copia"?

4/21/2018

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“Le penseur”, Auguste Rodin. Esemplare n. 1 conservato al Musée Rodin a Parigi.
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“Balloon dog”, Jeff Koons. Versione “orange” dell’edizione limitata in scala monumentale.
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“Balloon dog”, Jeff Koons. Multiplo della serie di 2300 pezzi in scala ridotta, in ceramica.
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“Balloon dog”, Jeff Koons. Multiplo della serie di 2300 pezzi in scala ridotta, in ceramica. Dettaglio dell'adesivo riportante il numero di serie.
Uno degli aspetti più peculiari della scultura, è la possibilità materiale di farne calchi e copie.

Il calco di una scultura veniva un tempo eseguito unicamente prendendo l'impronta della scultura con del gesso. Ovviamente non veniva realizzato un pezzo unico, ma il calco in gesso veniva eseguito per conci, in maniera tale da poterlo smontare dal modello e rimontare per l'esecuzione della copia.
L'esigenza di realizzare dei calchi nasceva tecnicamente dal fatto di non poter salvare il modellato in creta (cuocendolo) per ragioni dimensionali o perché se ne intendeva ricavare un "modello" in materiale stabile e non deperibile (tipicamente in gesso) dal quale poterne ricavare la versione "finale" in materiale più pregiato e durevole (bronzo o marmo).

Con l'inizio dell'era "moderna", la produzione delle copie divenne non più un'esigenza tecnica, ma una questione commerciale. Con l'avvento dell'era industriale, l'ascesa di una committenza borghese e lo sviluppo delle economie del Nord America il mercato cominciò a richiedere una sempre maggior quantità di opere agli scultori più affermati. La produzione di copie in serie numerata prese avvio con metodo proprio con scultori come Auguste Rodin, chiamati a fornire le proprie opere per collezionisti di ogni parte del mondo occidentale. Basti pensare che del celebre "Pensatore" esistono 20 esemplari sparsi tra i musei di tutto il mondo.

Da qualche decennio a questa parte lo sviluppo delle gomme siliconiche ha incredibilmente agevolato la riproduzione delle sculture. Non sono più necessari complicati stampi ad incastro in gesso, e la fedeltà di riproduzione garantita dai siliconi è impressionante (consentono di recuperare l'impronta digitale lasciata dai polpastrelli sulla creta). Questo ha per un verso semplificato il lavoro degli artisti e degli artigiani che lavorano per gli artisti (fonderie e laboratori di lavorazione del marmo), riducendo enormemente le tempistiche di produzione di un calco. Per l'altro, ha esposto la scultura ad un nuovo fenomeno, pericoloso sul piano della garanzia dell'originalità dell'opera.
Chiunque possieda una scultura, oggi ne potrebbe agevolmente eseguire una copia, specie se di ridotte dimensioni.
In passato questo aspetto ha causato non pochi problemi di attribuzione di opere di autori ormai scomparsi, non più in grado di smascherare il falso, e speculazioni fraudolente.
In soccorso dei collezionisti e degli artisti il legislatore ha introdotto il "certificato di autenticità" (in Italia normato dal D.L. n.42/2004) elemento divenuto imprescindibile in qualunque trattativa commerciale che abbia per oggetto opere d'arte.
In questo certificato, lo scultore si attribuisce la paternità dell'opera, e ne dichiara la tiratura.
Nel caso di autori ormai deceduti, sono spesso le "fondazioni" curate dagli eredi a rilasciare i certificati di autenticità. Anche questo fenomeno però si presta a possibili abusi, dal momento che il certificato di autenticità "postumo" è rilasciato dietro corrispettivo di una somma di denaro.

Tipicamente la tiratura si compone di alcune "prove d'artista" (sigla PA od AP) numerate con numeri romani progressivi (es. AP II), e di una serie limitata di esemplari "ufficiali" numerati in serie (es. 1/3 per il primo esemplare di una serie programmata di 3 fusioni).
Non necessariamente la tiratura deve essere tutta eseguita dal principio; l'importante è che la numerazione e la sequenzialità sia rispettata. L'autore è responsabile verso l'acquirente della veridicità della dichiarazione, anche in termini legali.
Le serie numerate per tradizione si contano in multipli di tre (3/6/9). In Italia, fino a 9 esemplari l'opera può essere definita "pezzo unico" (il che obiettivamente genera una confusione di termini), sopra questo numero si parla di "multipli". In entrambi i casi le opere devono riportare la firma dell'autore.
Naturalmente la quantità di esemplari "tirati" incide anche sull'appetibilità dell'opera sul mercato, e sul suo valore.
Questo è particolarmente evidente nel caso dei "multipli", soprattutto quando riprodotti in grande numero (a volte centinaia o migliaia di pezzi).
Il mercato dei "multipli" ha raggiunto in questi ultimi anni dimensioni incredibili. Il famoso "balloon dog" di Jeff Koons è stato riprodotto, oltre che in edizione limitata di tre pezzi (di dimensioni monumentali, in lega metallica), anche in edizione “multipla" (in scala ridotta, in ceramica). Il "multiplo" è stato tirato in serie di 2.300 esemplari, al prezzo di vendita compreso tra i 2.000 $ ed i 5.000 $. Certamente più "affordable" dell'esemplare monumentale quotato tra i 35 ed i 55 milioni di dollari, ma tutto sommato ancora molto, se si pensa alla sua estrema diffusione.

Quello dei "supermultipli" è un mercato relativamente recente, che si avvicina più all'oggettistica di design che non all'arte. Oggi diversi musei vendono nei bookshop dei multipli delle opere esposte (per lo più ristampe di foto o serigrafie). Di per sé non vi è nulla di esecrabile. L'importante, quando si compra un'opera d'arte, è saper leggere bene tra le righe del "certificato di autenticità", per evitare di sopravvalutarne il valore.

Un discorso a parte va fatto per le vere e proprie "copie", ossia le tirature dell'opera eseguite da terzi, seppur legalmente (ad esempio da parte degli eredi dell'artista).
Questi esemplari devono riportare ben impressa la dizione "COPIA" oltre alla eventuale numerazione, e non dovrebbero riportare la riproduzione della firma dell'artista.
E' in effetti buona norma non firmare il modellato in creta per evitare di riprodurre nel calco anche la firma, ma di apporla direttamente sull'esemplare in cera in fonderia.
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Lo scultore ed il marmo

4/15/2018

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Gian Lorenzo Bernini, "Ratto di Proserpina" (Museo Nazionale di Villa Borghese, Roma)
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Dettaglio dal "Ratto di Proserpina"
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Giuseppe Sanmartino, "Cristo velato" (cappella Sansevero, Napoli)
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Patrick Tuttofuoco, "The Power Napper"
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Dettaglio da "The Power Napper"
La scultura in marmo è probabilmente la versione più nobile tra quelle possibili. Non solo per il valore del materiale (un blocco di marmo pregiato può costare svariate migliaia di euro), ma anche, in campo figurativo, per la possibilità di rendere il contrasto tra la fredda materia ed il tenero incarnato, per la trasparenza che ne caratterizza alcune varietà (marmo statuario), per la possibilità di modulare luci ed ombre giocando con il grado di finitura (lucido od opaco).
In Italia possiamo vantare una grande tradizione nella scultura del marmo, che ha consentito la produzione nel tempo di assoluti capolavori come "Il ratto di Proserpina" od il "Cristo velato", in cui il marmo è stato incredibilmente trasformato dal lavoro dello scultore.

Alcuni scultori sono passati alla storia proprio per l'abilità con cui hanno imparato a lavorare il marmo. Primo tra tutti Michelangelo, poi superato in abilità dal Bernini. Tuttavia, specialmente nella loro maturità artistica, pochi di essi continuarono a scolpire integralmente le proprie opere. Bernini per esempio delegava ai suoi assistenti buona parte dei dettagli esecutivi (come per esempio le foglie dell'"Apollo e Dafne", realizzate da un suo allievo), preferendo concentrarsi sulla prima fase di impostazione della figura.
Altri scultori, al contrario, si limitavano a dare l'ultima mano di finitura alle opere, e delegavano ai propri numerosi assistenti tutta la fase di copia dal modello (questo sì realizzato dall'artista).
Tra di questi scultori vi sono valenti esempi, come il Canova, o, in tempi più recenti, Auguste Rodin. 
Tuttavia, se quantomeno il Canova riprendeva il lavoro di finitura sulla scultura ormai portata allo strato semi-finito, di Auguste Rodin è invece comprovato che non abbia mai scolpito egli stesso il marmo, limitandosi nel migliore dei casi ad apportare eventuali lievissime modifiche, ed a firmarlo.
Nulla di scandaloso, beninteso. L'opera dell'artista era concentrata nella modellazione dell'opera in creta; tutte le produzioni successive (modello in gesso, colata in bronzo o copia in marmo) potevano/dovevano essere demandate ai propri assistenti, anche per far fronte alle richieste del mercato.

Ancora oggi in Versilia vi sono laboratori artistici specializzati proprio nella riproduzione in marmo dei modelli realizzati dagli artisti.
Il lavoro di sbozzatura del marmo è stato notevolmente semplificato dall'avvento della tecnologia informatica. Partendo dalla scansione 3D del modello ne riproducono una versione in marmo con l'impiego di macchine fresatrici a controllo numerico. Perde un po' di poesia, ma velocizza il lavoro di sbozzatura, che può essere portato a livelli davvero molto vicini alla resa finale. Poi interviene il mastro scalpellino, o l'autore stesso, che apporta le ultime finiture.
L'artista può anche scegliere di lasciare in vista i segni della macchina fresatrice, come per esempio fatto da Patrick Tuttofuoco nell'opera recentemente esposta a Torino alle OGR (immagine a lato). In questo caso l'artista ha fatto eseguire una scansione 3D del figlio appisolato, e ne ha fatto ricavare un "semifinito" da un'officina artistica per mezzo di una macchina fresatrice a controllo numerico.

Ma allora, l'opera in marmo è un falso?
No, così come non lo è quella in bronzo (ovviamente realizzata in fonderia). In genere, sia la copia in marmo che quella in bronzo discendono dall'opera modellata dallo scultore, che però, nella gran parte dei casi, è effimera, o realizzata con un materiale meno pregevole e durevole. In questi casi il modellato va perso, e l'originalità viene trasferita di fatto alle copie ricavate dal modello, siano esse in marmo, in bronzo, in resina, in gesso...

​Ok, ma se allora possiamo considerare "originale" anche la riproduzione eseguita dal modello, quanti esemplari è lecito che l'artista ne ricavi? Ha ancora senso parlare di "opera d'arte" nel caso di serie di centinaia o migliaia di pezzi (cosiddetti "multipli")?

E nel caso della "modellazione digitale", possiamo ancora parlare di "scultura"? Non è forse più simile ad una "fotografia" che non alla scultura tradizionale?

Materia per molti altri post... Per ora chiudiamo qui.
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Ipse dixit

3/20/2018

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“L’arte, uno dei luoghi principali dell’originaria esperienza del mondo”

Cit. Giulio Argan in “Manzù - Marino. Gli ultimi moderni”, pg.23 (Barbara Cinelli)

#giacomomanzù #marinomarini #scultura
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Si fa presto a dire "bronzo"...

3/11/2018

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Fonderia Artistica Mapelli (Milano). La preparazione della cera nel calco in gomma siliconica.
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Fonderia Artistica Mapelli (Milano). Il forno pronto ad accogliere gli stampi in terra refrattaria.
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Fonderia Artistica Mapelli (Milano). I crogiuoli per la fusione del bronzo.
Come si realizza una scultura in bronzo?

Incredibilmente, la tecnica odierna è molto simile a quella impiegata in Grecia nel settimo secolo AC, da quando in sostanza è stata codificata la fusione della statua cava (prima di allora si fonderanno solo statue piene, di limitate dimensioni).
Naturalmente l'impiego della saldatura in epoca moderna ha consentito di raggiungere dimensioni un tempo inimmaginabili, ed ha anche facilitato molto il lavoro (fino al XIX secolo era necessario fondere in pezzi unici le opere, o mascherare le giunzioni al meglio).
Il recente avvento delle gomme siliconiche ha ulteriormente semplificato la realizzazione dei calchi, ma il procedimento è in sostanza immutato.
Le fasi sono articolate, perché il bronzo va colato in una forma (negativo), che deve essere ricavata su entrambi i lati della superficie del modello (altrimenti la scultura non verrebbe cava, ma piena). Occorrerà quindi realizzare una serie di calchi e contro-calchi (negativi e positivi), con un procedimento che dura tre o quattro settimane.

Schematicamente, per una scultura di piccolo e medio formato, partendo dal modellato in creta o plastilina fornito dall'artista:

1. viene realizzato un calco del modellato dell'artista (1° negativo);
2. viene realizzato il "modello in gesso" (1° positivo), utile ad evitare di lavorare sul modellato in creta o plastilina (duttile);
3. viene realizzato un calco in gomma siliconica sul modello (2° negativo);
4. viene realizzato un positivo in cera dello spessore di circa mezzo centimetro (2° positivo);
5. il positivo in cera viene riempito di terra refrattaria, e rivestito esternamente di terra refrattaria; cotta, prenderà la funzione di calco per la colata (3° negativo);
6. Nello stampo viene colato il bronzo, e si ricava la scultura finale (3° positivo);
7. Ripulita, cesellata e patinata, la scultura in bronzo è pronta.

Il procedimento è assai complesso, specialmente nel caso di sculture di grandi dimensioni. Il costo di un'opera in bronzo è elevato non solo a causa del costo del materiale da impiegare (il bronzo artistico è una lega di rame, stagno, zinco, manganese), ma soprattutto per la complessa lavorazione che richiede.

Avendo presente tutto il lavoro che c'è dietro, si può ben capire quanto sia importante l'abilità del Mastro Fonditore nella produzione di una scultura in bronzo.
A poco servirebbe il talento dello scultore, se poi il Mastro Fonditore non fosse in grado di tradurre in bronzo l'opera d'arte.
Ed infatti solitamente sulle opere in bronzo si trovano sia la firma dello scultore che il marchio della fonderia, a pieno titolo.

In Italia abbiamo una tradizione unica nell'arte della fusione a cera persa, un vero patrimonio culturale ed umano. Sono numerose le fonderie di primissimo piano, che con il loro lavoro hanno contribuito all'affermazione di importanti artisti.

Per approfondimenti sulla tecnica, rimando al sito della Fonderia Artistica Mapelli (Milano).
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Per un pelo, tutto da capo...

3/3/2018

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Gian Lorenzo Bernini | Scipione Borghese, 1632. Prima versione.
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Dettaglio della crepa sulla fronte
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Dettaglio del tassello inserito da Bernini sul retro della berretta.
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Dettaglio del sesto bottone della mozzetta (prima versione)
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Scipione Borghese, seconda versione.
Una crepa sulla fronte. Passante, marcata e vistosa, Persino il soggetto ritratto sembra stupito dalla fessura comparsa così impunemente sulla sua fronte.

Bernini aveva ricevuto nel 1632 l'incarico di ritrarre in un busto il cardinale Scipione Borghese, già suo committente per il David, il Ratto di Proserpina ed Apollo e Dafne. Forse il suo committente più importante.
Possiamo solo immaginare lo stato d'animo del Bernini, ai tempi già affermato scultore di trentaquattro anni, alla comparsa della crepa sulla fronte del capolavoro, ormai ultimato e pronto per essere consegnato.
Eppure Bernini doveva essersi reso conto già da tempo della presenza di una insidiosa venatura nel blocco di marmo, visto che aveva provveduto ad infilarvi in posizione defilata due perni metallici, mascherati da dei tasselli di marmo. Evidentemente Bernini, che non era un perfezionista, aveva ritenuto di poter risolvere il problema del "pelo" presente nel blocco di marmo con i due perni.
Ed infatti il ritratto di Scipione Borghese è perfettamente rifinito, sia come dettagli (eccezionale il sesto bottone della mozzetta infilato solo per metà nell'asola), che per finitura delle superfici (lucide ed opache a seconda degli effetti desiderati).

Eppure, nonostante i due perni metallici, la crepa era comunque avanzata, fino a giungere sulla fronte del cardinale.
Fessure del genere non sono nuove a chi lavora il marmo. In gergo sono detti "peli di cava". Essenzialmente sono delle faglie di transizione della materia, più o meno evidenti anche per colorazione, in cui si concentrano stati tensionali, e quindi più propense ad evolvere in vere e proprie crepe man mano che lavorando si rimuove parte del marmo dal blocco. Anche a lavoro ultimato i cicli termici  caldo/freddo possono far evolvere i "peli" in vere e proprie crepe.

E' noto come Michelangelo passasse intere settimane nelle cave per scegliere personalmente i blocchi di cava da scolpire. Bernini invece era meno scrupoloso, forse anche un po' presuntuoso. Era consapevole delle proprie incredibili capacità tecniche ed artistiche, e riteneva di poter ricavare capolavori anche da blocchi di marmo di seconda scelta (fatto non secondario, più economici).
Però la crepa sulla fronte del cardinale doveva esser parsa anche a lui  un po' troppo difficile da far accettare al proprio mecenate.

Si narra che Bernini ordinò in gran segreto un secondo blocco di marmo (invero non molto migliore del precedente), e che scolpì ex-novo il ritratto in sole quindici notti.
La seconda versione del ritratto è pressoché identica alla prima.
Del resto, se per eseguire la prima versione possiamo supporre che Bernini abbia fatto posare il soggetto ritratto, per la seconda, fatta in segreto, Bernini avrà impiegato verosimilmente come modello il ritratto della prima versione.
Tuttavia, ad uno sguardo molto attento si possono rilevare segni di strumenti impiegati per velocizzare il lavoro di finitura (come l'impiego di abrasivi sull'incarnato del volto, al posto della raspa), ed una minor cura nei dettagli (gli occhi in particolar modo sono un po' meno espressivi). Del resto, rifare da capo un capolavoro ormai finito nei minimi dettagli non sarà stato né piacevole né stimolante.

Gli storici narrano che Scipione Borghese si adirò molto con Bernini per l'incidente. Però poi di fatto tenne anche la prima versione del busto. Entrambi sono ancor oggi ammirabili in Galleria Borghese, a Roma.

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David contro David

2/24/2018

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Il David di Donatello (Museo Nazionale del Bargello, Firenze)
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Il David di Michelangelo (Gallerie dell'Accademia, Firenze)
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Il David del Bernini (Galleria Borghese, Roma)
In questo post vi propongo un confronto tra le tre più note raffigurazioni scultoree del David.
In ordine di comparsa: il David di Donatello, quello di Michelangelo, ed infine quello del Bernini.

Il David di Donatello è una statua in bronzo alta circa 1 metro e mezzo, in scala di poco inferiore al vero. Data di realizzazione e committenza sono incerti, Risalirebbe alla metà del ‘400, e si sa che appartenne ai Medici. Date le ridotte dimensioni, pare comunque ragionevole supporre sia stata concepita per una esposizione domestica, non in pubblica piazza.
Donatello rappresenta David come un ragazzino efebico, caratterizzato da fianchi stretti e pochi muscoli, il dorso quasi femminile. È nudo, ma indossa un buffo cappello a forma di scolapiatti con motivi agresti, e dei calzari.
David è raffigurato vittorioso, il duello con Golia si è già compiuto.
Tiene nella destra la spada con cui ha appena reciso la testa del gigante, dopo averlo stordito con un colpo di frombola.
Il pugno sinistro è posato con civetteria sul fianco, e serra il fatidico sasso. Il peso è poggiato sulla gamba destra. Il piede sinistro è posato sulla testa mozzata di Golia, come farebbe un cacciatore in posa con una fiera abbattuta. David ha un’espressione soddisfatta, sembra quasi ammiccare: è conscio dell’impresa compiuta, e sembra volerci dire “Avete visto? Grande e grosso, ma l'ho sconfitto!”.

Il David di Michelangelo, realizzato una sessantina d’anni dopo, è per certi versi l’opposto.
La statua è monumentale (più di quattro metri d’altezza, oltre al piedistallo). E' stata realizzata da un unico blocco di marmo fornito dal committente (la Fabbrica del duomo), destinata sin dal principio ad un’esposizione al pubblico.
Il David è rappresentato prima che si compia il duello.
David osserva dalla distanza il proprio avversario, lo studia. Nella mano destra tiene celata una pietra. Nella sinistra una frombola, risvoltata sulla spalla.
È un giovane forte, robusto, virile. Non è più un ragazzino.
Usa la testa, prima ancora del fisico, e l'osservatore sa che avrà successo.

Ultimo in ordine cronologico, Bernini sceglie di differenziarsi dai due maestri che lo avevano preceduto.
Il David del Bernini fu realizzato nel 1624 su commissione del suo mecenate, il cardinale Scipione Borghese, per essere inserito nella collezione privata collocata nel palazzo di Villa Borghese (ed è ancora lì).
Bernini aveva 26 anni, la stessa età alla quale Michelangelo iniziò il David. Pare che il rapporto di Bernini con Michelangelo fosse caratterizzato da stima e competizione (virtuale). Bernini voleva superare tutti, e sapeva del resto di avere capacità fuori dal comune.
Bernini sceglie di portare alla difficoltà estrema la rappresentazione del David. Il David del Bernini non viene rappresentato nè prima, nè dopo il duello. Il David è raffigurato durante il duello, nell’esatto istante in cui, in una posa dinamica pietrificata, sta tendendo all'indietro la frombola per iniziare il movimento rotatorio con cui a breve proietterà l'acuminato sasso diritto sulla fronte del gigante Golia.
Anche in questo caso, come in Michelangelo, il David è un ragazzo robusto e maturo, e non un giovinetto. La frombola è tenuta con la destra, nella mano sinistra tiene un ciottolo spigoloso. Il corpo è avvitato su se stesso, è una molla colta nella fase di carica. David sta raccogliendo ogni energia per scagliare la breccola con la massima potenza possibile. Le labbra sono serrate, l’arco sopraccigliare inarcato, le narici allargate. Pare quasi di sentire un soffio d'aria uscire dalle sue narici. Tutti i muscoli sono tesi, persino le dita dei piedi sono contratte e si aggrappano al terreno, come un tuffatore pronto a lanciarsi da una piattaforma.

I tre David, messi a confronto, offrono una percettibile lettura del periodo storico ed artistico in cui sono stati realizzati: umanesimo, rinascimento, e barocco.
Semplificando molto, anche per non far diventare questo post troppo lungo: la capacità dell’uomo di determinare il proprio destino (Donatello); il primato dell'intelletto (Michelangelo); ed infine la ricerca della meraviglia (Bernini).
L’arte è testimonianza del proprio tempo.
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Il David di Michelangelo, o lo Hobbit?

2/18/2018

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Riconosciuto capolavoro universale, il David presenta alcune caratteristiche curiose.

La scultura, oggi collocata nella Galleria dell'Accademia, a prima vista colpisce per l'armonia della composizione.
Il David è nudo, colto mentre studia da distanza di sicurezza il proprio avversario. Con la mano sinistra tiene la frombola, appoggiata con nonchalance sulla spalla, quasi fosse una sciarpina. Nella destra cela una pietra compatta.
I muscoli sono ben definiti, ma rilassati, La superficie del marmo è estremamente curata, levigata o lasciata ruvida a seconda dei casi per esaltare luci ed ombre.
La statua è alta, molto alta: 405 cm, più il basamento.

Ad uno sguardo più ravvicinato, si resta colpiti dalla perfezione dei particolari anatomici (la bocca,  le mani,  gli occhi, le orecchie, la vena sul collo...).
Però, ad osservarlo da vicino, le proporzioni non tornano.
A guardarlo bene, il David appare un po' "tappo", quasi uno Hobbit.
Testa e mani in particolare sono più grosse di quanto ci si aspetterebbe. Il pene, in compenso, è piccolo.
Sul tema, c'è chi sostiene sia stata una scelta precisa dell'artista.
Non tanto per ragioni prospettiche (varrebbe per la testa, ma non per le mani), quanto ideali.
La testa e le mani rappresenterebbero la volontà e la capacità di realizzare grandi imprese, ed il sesso rimanderebbe invece alla parte istintiva e passionale dell'uomo.
Quindi, la ragione e la capacità che prevalgono sull'istinto e la passione.
Beh, poi occorre considerare che l'opera è nata come una commissione sacra, da mettere su un contrafforte della cupola del duomo.
Di fatto, però, non vi arrivò mai.
​
L'enorme statua (la prima di genere monumentale per i tempi) assunse da subito, ancor prima di essere terminata, un significato politico per la giovane repubblica fiorentina (correva l'anno 1501).
Volto verso sud, posto davanti all'ingresso di Palazzo Vecchio (sede del governo della città), il giovane David, coraggioso, forte e nelle grazie del Signore, prossimo a sconfiggere il gigante Golia, rappresentava perfettamente la repubblica fiorentina.
Il successo conclamato della statua (che pare fece ingelosire non poco altri artisti contemporanei, in primis Leonardo Da Vinci), aveva indubbiamente una ragione di carattere estetico, ma di sicuro vi contribuì non poco la chiave di lettura politica.
Eppure, la commissione era per una statua di genere religioso, da posizionare su uno dei contrafforti della cupola del duomo.
ll blocco di marmo sarebbe stato fornito dalla Fabbrica del Duomo. Il contratto prevedeva due anni di tempo per consegnare la statua finita, ed un compenso per l'artista.
Michelangelo ai tempi era già uno scultore affermato (nato nel 1475, aveva ben 26 anni), ma la commissione dovette apparirgli tutt'altro che semplice.
Il grosso blocco di marmo (circa 410 cm di lunghezza) era già stato sbozzato da due valenti scultori una quarantina d'anni prima, e giaceva abbandonato nei magazzini dell'Opera del Duomo. Gli scultori che vi avevano lavorato lo avevano probabilmente abbandonato a causa della scarsa qualità del marmo, caratterizzato da diffuse cavità ("tarli" del marmo) e venature (zone di transizione più facilmente soggette a rottura). Inutile dedicare del tempo ad un'opera destinata a rompersi sotto i colpi del martello.
Il blocco, per giunta, era già stato sbozzato a livello delle gambe. Le proporzioni erano quindi vincolate.
Michelangelo accettò comunque la sfida, ma probabilmente questa è la ragione delle proporzioni generali del David.

Un ulteriore indizio interessante è stato rinvenuto nel corso dei lavori di restauro condotti negli anni novanta. 
Sulla sommità della statua è stata rinvenuta, nascosta dalle volute della chioma, la "scorza vecchia" (la superficie del blocco originario, come trasportato dalla cava), indizio del fatto che Michelangelo ha colto fino all'ultimo millimetro le possibilità offerte dal blocco che gli era stato assegnato,
E se consideriamo che la figura in parte era già stata sbozzata da altri scultori, è probabile che Michelangelo abbia fatto del suo meglio per rendere la figura di David, pur conscio del difetto di proporzioni.

Un'ultima curiosità. Il David è mancino: tiene la frombola con la sinistra. Difficile dire se la posa derivi da esigenze realizzative (il blocco di marmo era già stato sbozzato in precedenza), o se sia una scelta dell'artista. Però pare che anche Michelangelo fosse mancino.
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Si dice che ogni opera sia una confessione dell'artista.
Credo che anche questa non faccia eccezione.
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La maquette

2/12/2018

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“Madonna con Bimbo al seno”, 2018
La maquette (bozzetto) è un modellino in scala ridotta di un’opera che si intende realizzare, utile per prendere confidenza con postura e proporzioni del soggetto.
Ve ne sono di meravigliosi esempi in Casa Buonarroti a Firenze, così come al Museo del Bargello.

In foto, bozzetto in scala 1:4 per una Madonna con bambino ispirata alla “Madonna della scala”, bassorilievo giovanile di Michelangelo conservato al museo Casa Buonarroti a Firenze (foto in calce).
Nel bassorilievo originale sembrerebbe esserci un errore nelle proporzioni della musculatura del Bambino Gesù, forse indotti dalla posizione torta del dorso.
Nello studio preparatorio ho ridotto lievemente le proporzioni ed accentuato la torsione del Bimbo, rivolto al seno della Madre.

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Michelangelo Buonarroti | Madonna della scala (1491 circa)
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Studio preparatorio da “Madonna della scala”, 2018
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Ipse dixit

2/5/2018

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"Ecco il destino dell'arte. Farci entrare in una storia, farci iniziare un viaggio senza doversi mai spostare"

Francesco Bonami | L'arte nel cesso, 2017
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Ipse dixit

1/20/2018

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What is modern art but the attempt to pinpoint vague, incorporeal, inesprimible sensations?

Italo Calvino
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Ipse dixit

1/19/2018

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L'opera d'arte è sempre una confessione; e, come ogni confessione, vuole l'assoluzione.
​Successo mancato equivale assoluzione negata.

Umberto Saba
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Ipse dixit

1/15/2018

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D'abord l'émotion! Ensuite, seulement, la compréhension!”

Paul Gauguin

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Ipse dixit

1/14/2018

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L’arte è l’espressione del pensiero più profondo nel modo più semplice.

Albert Einstein
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Ipse dixit

1/14/2018

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"La conoscenza di un'opera d'arte plastica non è piena se la visione non è completata dal tatto."

Alessandro Morandotti


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Ipse dixit

1/13/2018

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"Scultura è quella roba cui vai a sbattere in un museo quando fai due passi indietro per guardare meglio un quadro."

Arthur Bloch
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Auguste Rodin

1/12/2018

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Ad Auguste Rodin viene attribuito il seguente aforisma:

Scelgo un blocco di marmo e tolgo tutto quello che non mi serve.
(in risposta a chi gli chiedeva come riuscisse a creare le sue statue)

Già. Peccato che Rodin non abbia mai "scolpito" il marmo.
Rodin "modellava" la creta od il gesso, e poi incaricava degli artigiani scalpellini di eseguirne le copie in marmo. Ne ha cambiati più di una quarantina, stando ai suoi libri contabili. A volte li cambiava perché ne trovava di meno cari, altre volte perché erano gli stessi artigiani trovavano artisti-committenti più generosi, altre ancora perché gli artigiani si prendevano l'iniziativa di apportare modifiche o maggiori dettagli al modello creato da Rodin.
Ma non si pensi che il fatto di affidare a terzi l'esecuzione delle copie fosse un atto disdicevole, Semplicemente, l'atto creativo dell'artista si concentra nella creazione dell'opera, e nel caso della scultura questo accade per la quasi totalità dei casi con l'argilla. Poi dall'argilla si ricavano copie in gesso, in marmo, in bronzo, in resina, e materiali vari... (alla Biennale di Venezia del 2017 un artista ha esposto delle sculture di pane),
E poi le statue di Rodin erano molto richieste, anche delle più note ne sono stati prodotti molti esemplari. Impensabile che le producesse tutte lui. E poi chi l'ha detto che la scultura deve essere solamente in marmo? C'è anche il bronzo. Ed il bronzo, non viene forse realizzato da artigiani esperti del mestiere? Lo stesso valga per il marmo.
​Una nota curiosa: alla sua morte Rodin ha lasciato i diritti di replica alla Repubblica Francese, così oggi si potrebbero in teoria ancora "stampare" delle repliche dai calchi originali.

Beninteso, non vorrei essere frainteso. Rodin rimane un maestro della scultura. Un vero creatore, che nell'argilla ha ritratto l'essenza dei suoi soggetti, ricorrendo a pochi tratti essenziali.
Ma l'aforisma sopra citato non gli si addice, e preferisco pensare gli sia stato impropriamente attribuito.
In lui riconosco invece il seguente:

“Quand un bon sculpteur modèle des corps humains, il ne représente pas seulement la musculature, mais aussi la vie qui les réchauffe.”
​

Auguste Rodin


Per approfondimenti sul tema: Aline Magnien – Rodin. Il marmo, la vita – Electa/Palazzo Reale – 2013
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Auguste Rodin, "Le baiser"
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Ipse dixit

1/12/2018

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“Quand un bon sculpteur modèle des corps humains, il ne représente pas seulement la musculature, mais aussi la vie qui les réchauffe.”

Auguste Rodin
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