FRANCESCO ZAVATTARO ARDIZZI
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A proposito di scultura

Aforismi, articoli e curiosità

Chi acquista una scultura?

11/17/2021

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Cosa spinge all'acquisto di una scultura? 🤔
Interessante analisi in questo articolo tratto da Artslife.com

... "La scultura e’ l’oggetto per definizione: un collezionista puo’ toccare, accarezzare, portare con se’ l’opera, spostarla da una scrivania a un comodino, a un tavolo, a una mensola in un giardino, a un caveau di una banca. La scultura appare come sicura, anche dal punto di vista conservativo – e’ relativamente difficile danneggiare un oggetto scultoreo. Le intemperie migliorano la patinatura nel corso degli anni, non la peggiorano.
Infine, l’opera scultorea e’ il risultato di una lotta quasi eroica tra l’artista e la materia. Il ferro e il bonzo vanno forgiati, domati con il fuoco, trattati con gli acidi… il collezionista che contempla e sa ‘suo’ un bronzo di Giacometti sente di accedere, attraverso questo bronzo, a una sfera mitica, altra, superiore – e desidera che parte del potere creativo, titanico dell’artista gli appartenga e lo renda altrettanto potente."

Giovanna Bertazzoni

​Qui l'articolo integrale:
​
https://artslife.com/2012/11/05/scultura-sempre-piu-richiesta-dice-bertazzoni-di-christies/
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Arte Deducibile

11/3/2021

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No, non è un nuovo genere di arte contemporanea. Quantomeno, non ancora…

Sei un libero professionista? Lo sapevi che l'acquisto di un'opera d'arte, sia per arredare e valorizzare l'immagine tuo studio, che come omaggio per i tuoi clienti, rientra tra le spese di rappresentanza dell’attività professionale, ed è quindi deducibile dal reddito ai fini del calcolo delle imposte?

Le spese di rappresentanza, e tra di queste le spese per l’acquisto di oggetti d’arte, possono infatti essere dedotte dai professionisti da reddito imponibile ai fini IRPEF fino al limite dell’1% dei compensi percepiti!

Articolo 54 Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), comma 5:

"Le spese di rappresentanza sono deducibili nei limiti dell'1 per cento dei compensi percepiti nel periodo di imposta. Sono comprese nelle spese di rappresentanza anche quelle sostenute per l'acquisto o l'importazione di oggetti di arte, di antiquariato o da collezione, anche se utilizzati come beni strumentali per l'esercizio dell'arte o della professione, nonché quelle sostenute per l'acquisto o l'importazione di beni destinati ad essere ceduti a titolo gratuito"
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Studio, 2019. China acquerellata, 32x24 cm.
Facciamo un esempio: sei un professionista, ed ha percepito compensi nell’anno per 50mila euro? Puoi dedurre fino a 500 euro dal reddito a base di imposta. In altri termini, a seconda dello scaglione di reddito, circa il 30% di questo importo lo risparmi in minori imposte da versare.
Tradotto “in soldoni”, per questo esempio il costo effettivo si ridurrebbe a circa 350 euro.

E questo sia che l’opera sia dedicata a valorizzare l’immagine del tuo studio, sia che sia destinata a divenire un omaggio per i tuoi migliori clienti.
Al posto del solito cestino natalizio di conserve ed insaccati, potrebbe essere una buona idea, no?

​Natale si avvicina…
Scegli il tuo artista, e commissionagli un’opera d’arte! È deducibile ;-)
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Studio, 2019. China acquerellata, 24x32 cm.
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Artisti e partita IVA

10/30/2021

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Questo post è un po’ anomalo, per contenuto, se confrontato con i precedenti. Non tratterò infatti di produzione scultorea o di capolavori della storia dell’arte, ma dell’inquadramento fiscale dell’attività artistica professionale.

Il punto è il seguente: 
- sei un artista?
- guadagni dalla vendita delle tue opere?
- sostieni dei costi per realizzare le tue opere?
Allora dovresti interrogarti se non sia necessario/utile aprire una partita IVA.

Potrebbe essere necessario, se hai deciso di “spingere sul mercato” la tua professionalità artistica, dando visibilità al tuo sito internet, facendo campagne pubblicitarie o promuovendo l’acquisto delle tue opere sul tuo sito. Diventa necessario anche se la vendita diventa non più solo occasionale, ma in qualche modo una fonte di reddito ricorrente. Non è un parametro significativo quanto guadagni da questa attività; per lo Stato, quel che conta è se diventa una fonte di reddito ordinaria, anche se variabile e non prevedibile.
 
Ma aprire una partita IVA potrebbe anche essere utile, se – come nel caso dell’arte scultorea – sostieni rilevanti spese con i fornitori (marmo, fonderia, etc..).
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Studio, 2019. China acquerellata, 25x35 cm.

Partiamo dal principio

Le attività artistiche “visive” (disegno, pittura, scultura, fotografia, etc…) sono inquadrate fiscalmente con codice ATECO 900309 “Altre creazioni artistiche e letterarie”, che recita, al primo punto: “attività di artisti individuali quali scultori, pittori, cartonisti, incisori, acquafortisti, aerografista eccetera”.
La ratio è semplice: se percepisci un reddito da un’attività, devi contribuire con le tasse alle spese dello Stato, e mettere da parte qualcosa per la previdenza sociale (in primis, la pensione).
Ok, ho semplificato, ma la sostanza è questa.
 
Tuttavia, nell’aprire la partita IVA “da artista”, con l’attuale ordinamento, si pone subito un bivio: apro una partita IVA con regime fiscale “forfettario”, o “semplificato”?
 
Anche se non è il mio campo (per formazione, sono ingegnere), proverò a riassumere in termini semplici la questione.
 
Per farla breve, “forfettario” implica una tassazione fissa, con un’aliquota molto agevolata (15% al di sotto di 65mila euro di reddito percepito annuo). Il regime “forfettario” nasce proprio col proposito di incentivare l’avvio di nuove attività.
Non è richiesta l’applicazione dell’IVA, il che consente una gestione più semplice sul piano fiscale, e permette all’artista di esporre sul mercato prezzi più competitivi rispetto agli artisti con partita IVA “semplificata”.
Per contro, il regime “forfettario” non consente di dedurre i costi sostenuti per produrre il bene artistico dal reddito percepito. I costi sono infatti stabiliti in misura forfettaria in funzione del codice ATECO (attualmente, il 33% di quanto percepito come reddito).
 
Invece, nel regime “semplificato”, l’aliquota fiscale è sempre superiore al 15%. Il valore viene determinato per scaglioni di reddito, ed attualmente parte dal 23% (fino a 15mila euro), fino al 43% (oltre i 75mila euro). Se manteniamo come paragone i 65mila euro di riferimento del forfettario, l’aliquota media vale il 32,8%. È evidente quindi che di tasse “si paga di più” con il “semplificato”. Inoltre, con il regime “semplificato” occorre anche applicare l’IVA, il che rende meno competitivo il prezzo al cliente (o, visto al contrario, riduce l’utile a parità di prezzo esposto al cliente).

Oltre a questo, in entrambi i casi vanno messi in conto i costi della previdenza sociale (gestione separata Inps), attualmente fissata al 25,98% (24% se si è già provvisti di altra tutela pensionistica obbligatoria).
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Studio, 2020. Acquerello monocromo, 25x35 cm.
Ma allora conviene sempre il “forfettario”?
Se puoi, in genere, sì. Ma, con l’attuale normativa, non puoi accedere al regime “forfettario” se percepisci altri redditi da lavoro dipendente sopra i 30mila euro annui. Questo limite impedisce quindi l’accesso a questo regime “incentivante” a chi si avvicina alla produzione artistica già in età adulta, e magari ha già uno stipendio “maturo”. Di per sé sarebbe anche logico, visto che il “forfettario” nasce per incentivare nuove attività; però bisognerebbe quantomeno pareggiare i due limiti (65 mila di reddito forfettario sono più del doppio di 30mila di reddito dipendente).

Però, a ben vedere, ci sono alcuni vantaggi, per chi, come me, si dedica alla produzione scultorea.
Il regime IVA “semplificato” consente infatti di dedurre dal reddito percepito i costi sostenuti per l’attività, e nel caso delle sculture possono anche essere rilevanti: costi di fonderia, costi di acquisto di prodotti siliconici, attrezzature, marmi etc…
In altri termini, se i costi sono rilevanti, alla fine la pur maggiore aliquota fiscale si applica su un valore che può anche essere molto ridotto, soprattutto se si è in una fase di avvio dell’attività, e si rendono necessari degli acquisti rilevanti di attrezzature (forno, tornio, utensili…).
 
Inoltre, nel caso del regime “semplificato”, l’IVA può essere “compensata”: in altri termini, l'IVA non è un costo.
Quindi l’IVA pagata in fase di acquisto di un prodotto (esempio, una tela per realizzare un dipinto), può essere portata in detrazione dall’IVA che si è percepita dalla vendita di un’opera ad un cliente (ad esempio, per la vendita del dipinto). Allo Stato si verserà la differenza tra le due.

Un aspetto positivo, non sempre noto, è che l’artista che produce e vende personalmente le proprie opere d’arte, se sussistono certi requisiti, può applicare l’IVA nella misura ridotta del 10% (anziché il 22% ordinario). Il che può comportare, peraltro, una riduzione dell’IVA da portare a compensazione fino ad arrivare ad una situazione di "credito IVA".
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Studio, 2019. China acquerellata, 25x35 cm.

Iva ridotta al 10% per le opere d'arte

Mi soffermo sull’IVA al 10% perché è un tema poco conosciuto, e credo interessante.
Il riferimento normativo è un po’ articolato, ma è il seguente:
 
DPR 663/72 (Testo Unico IVA) - tabella A (Beni e servizi soggetti ad aliquota ridotta) - parte III (Beni e servizi soggetti all’aliquota del 10 per cento) - capo 127_SeptiesDecies:
 
127-septiesdecies) oggetti d’arte, di antiquariato, da collezione, importati; oggetti d’arte di cui alla lettera a) della tabella allegata al decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, ceduti dagli autori, dai loro eredi o legatari (numero aggiunto, con effetto 1° ottobre 1997 [15], dall’art. 1, comma 6, lettera b), n. 17), D.L. 29 settembre 1997, n. 328)
 
Andiamo dunque a vedere cosa prevede la lettera a) della tabella citata… (omissis tra parentesi quadre)
 
a) "Oggetti d'arte": 
- quadri "collages" e quadretti simili ("tableautins"), pitture e disegni, eseguiti interamente a mano dall'artista […]; 
- incisioni, stampe e litografie originali, precisamente gli esemplari ottenuti in numero limitato direttamente in nero o a colori da una o più matrici interamente lavorate a mano dall'artista, qualunque sia la tecnica o la materia usata, escluso qualsiasi procedimento meccanico e fotomeccanico […];
- opere originali dell'arte statuaria o dell'arte scultoria, di qualsiasi materia, purché' siano eseguite interamente dall'artista; fusioni di sculture a tiratura limitata   ad   otto   esemplari, controllata dall'artista […] 
- arazzi e tappeti murali eseguiti a mano da disegni originali forniti da artisti, a condizione che non ne esistano più di otto esemplari;
- esemplari unici di ceramica, interamente eseguiti dall'artista e firmati dal medesimo; 
- smalti su rame, interamente eseguiti a mano, nei limiti di otto esemplari numerati e recanti la firma dell'artista […]; 
- fotografie eseguite dell'artista, tirate da lui stesso o sotto il suo controllo, firmate e numerate nei limiti di trenta esemplari, di qualsiasi formato e supporto; 
 
Insomma, il requisito per godere dell’IVA agevolata al 10% è che l'opera venga venduta direttamente dall'artista, che sia stata completamente realizzata “a mano”, e che sia unica oppure in tiratura limitata (limite variabile, caso per caso). Se sussistono questi requisiti, si può applicare l’IVA nella misura ridotta del 10%.
 
Recentemente si è posto un tema per il caso delle repliche in serie di sculture realizzate con tecnica 3D. Un artista che realizzava opere in serie (da 50 a 200 pezzi), tramite modellazione digitale e stampa 3D, ha infatti posto un quesito all’Agenzia delle Entrate per sapere se questa casistica poteva godere dell’IVA al 10%. La risposta è stata negativa, per due fattori: non erano eseguite “totalmente a mano” dall’artista (modellazione digitale, stampa 3D), ma solamente rifinite a mano (stuccature e levigature finali, applicazione di colorazione); inoltre non erano in tiratura limitata (quantomeno, non ad otto esemplari come nel caso della fonderia). Per i dettagli basta cercare su internet la Risposta a interpello n 303 del 2 settembre 2020 dell’Agenzia delle Entrate.
 
Quindi al momento la digital-art non può godere dell’IVA ridotta al 10%. Personalmente trovo ineccepibile il secondo punto: se la serie non è limitata a pochi esemplari, diventa un prodotto di design e quindi deve arrivare sul mercato alle stesse condizioni fiscali.
Trovo invece “fuori dal tempo” il vincolo del “fatto a mano 100%” come elemento dirimente, visto che la tecnologia avanza. E del resto, una fonderia per fare un bronzo è indispensabile, ed infatti la norma ha previsto che anche in quel caso si possa ricorrere all’IVA agevolata, pur con la limitazione di otto esemplari.

Per concludere, queste le deduzioni che personalmente ne ho tratto, per le attività che personalmente pratico:
  • disegni e dipinti: sono per natura realizzarti in esemplare unico ed originale, quindi IVA 10%
  • sculture: se in esemplare originale, o se tiratura limitata a max 8 esemplari, IVA 10% (altrimenti 22%)
  • ceramiche: se in esemplare unico (realizzato e decorato dall’artista), IVA 10% (altrimenti 22%)

Un’ultima cosa… Lo sapevate che l’acquisto di opere d’arte, per un professionista, rientra tra le “spese di rappresentanza” deducibili ai fini IRPEF?
Interessante, vero?

Ma mi sono già dilungato troppo... Su di questo, faccio un post a parte ;-)
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Studio, 2019. Carboncino, 70x50 cm.
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Paratissima 2020

10/23/2020

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Frammenti, gusci, figure sospese
​Paratissima Art Station_Digital Program


Una chiacchierata sugli aspetti legati alla produzione scultorea tradizionale e contemporanea.
Intervengono: Francesco Zavattaro Ardizzi, Ado Brandimarte
Modera: Rosanna Accordino

23 Ottobre 2020
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Camille Claudel

4/30/2019

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Ritratto di Camille Claudel con cappuccio, gesso.
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Ritratto di Camille Claudel, marmo.
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Composizione con volto di Camille e mani portate alla bocca. Gesso.
Camille Claudel fu allieva, modella, amante e musa di Rodin.
Nelle foto a margine, in ordine di esecuzione, il ritratto della giovane Camille (copia in gesso da modello in argilla), una copia in marmo eseguita da uno dei numerosi collaboratori con busto e braccia "imprigionate" nel blocco di marmo, ed infine una composizione eseguita da Rodin in tarda età, in cui al giovane volto di Camille sono accostate due mani sottili e rugose, portate alla bocca.
L'influenza di Camille su Rodin fu eccezionale, sia per via della carica passionale che introdusse nell'atelier, sia per la incredibile capacità scultorea, molto più "moderna" ed impressionista di quanto non fosse quella del suo maestro (basta guardare ai numerosi busti-ritratti di Rodin ante-Camille per notare la differenza).
Rodin ricevette molto da Camille, ma non fu in grado di restituirle il dono ricevuto. Già impegnato affettivamente, forse spaventato dall'indole incostante di Camille, non potè ricambiare il suo amore. Camille si allontanò da Rodin, viaggiò e tentò una propria carriera artistica, ma restò sempre all'ombra di Rodin.
Nelle opere di Rodin si può leggere un forte senso di colpa per la condizione di Camille. Lo stesso "pensatore", figura principale della "porta dell'inferno" (opera distrutta da Rodin alla vigilia della sua esposizione al pubblico), raffigura un uomo robusto e vigoroso, e tuttavia chiuso su sè stesso, incapace di prendere una decisione.
​Le tre sculture a margine ben esprimono la condizione della povera Camille: impossibilitata ad esprimere la propria arte ed isolata dal mondo, Camille trascorse gli ultimi trenta anni della propria vita in un sanatorio mentale.
Alla sua morte, Rodin volle che nel proprio museo, donato in lascito alla Francia, venissero raccolte anche le opere di Camille.
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Medardo Rosso, l'Impressionismo in scultura

3/13/2019

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'Come la pittura, anche la scultura ha la possibilità di vibrare in mille spezzature di linee, di animarsi per via di sbattimenti d'ombre e di luci, più o meno violenti, d'imprigionarsi misteriosamente in colori caldi e freddi - quantunque la materia ne sia monocroma.'

Medardo Rosso

Medardo Rosso (1858-1928) fu il principale esponente dell'impressionismo in scultura. Nato a Torino, visse e lavorò a Parigi, dove venne a contatto con il movimento impressionista.
Influenze dell'Impressionismo in scultura si trovano anche nelle opere di Degas, Renoir, Rodin e Bourdelle. Nessuno di questi fu però in grado di sviluppare una propria declinazione della corrente impressionista come Medardo Rosso.

Sua peculiarità, l'uso di cera applicata su sagome in gesso per rendere un effetto vibrante, morbido e dai contorni indefiniti. Questa tecnica risultò particolarmente efficace nella resa dei contrasti tra luci ed ombre, opacità e trasparenza. Il materiale ideale per un artista impressionista.
Tuttavia, la cera è un materiale instabile, facilmente deteriorabile nel tempo. Molto contemporaneo, in tal senso (alla Biennale di Venezia l'artista Roberto Cuoghi ha esposto delle sculture in materiale organico, simile ad un impasto per il pane, volutamente degradabili), ma forse non il massimo per un collezionista attento anche alla conservazione dell'opera nel tempo.
Per questa ragione le opere di Medardo Rosso in "cera su gesso" sono oggi conservate in teche di cristallo.
Per Medardo Rosso, probabilmente questa tecnica presentava anche un vantaggio economico, dal momento che gli consentiva di realizzare "in proprio" repliche delle sue opere a basso costo, senza dover incorrere nei costi di fonderia.

Una magnifica collezione di sue opere è conservata presso la GAM di Milano. Tra i suoi soggetti preferiti, i volti dei bambini.
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L'arte figurativa contemporanea

11/27/2018

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Claudia Fontes, "The horse problem". Biennale Venezia 2017 - padiglione Argentina.
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Ron Mueck, "Boy"
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Charles Ray, "Ragazzo con rana". Punta della Dogana, 2009-2013.
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Carole Feuerman, "The midpoint", Biennale di Venezia, 2017.
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Bruno Walpoth, "Tra le mie dita", 2012.
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Eudald De Juana Gorriz, "The awakening of consciousness". Museu Europeu d'Art Modern, 2017.
Non sarà sfuggito ai più attenti osservatori del panorama artistico il diffuso, rinnovato interesse per l'arte figurativa, intesa come arte rappresentativa di soggetti reali o di fantasia, in forma più o meno realistica o stilizzata, storicamente in contrapposizione con l'arte astratta e concettuale.
Certamente non si tratta di un'inversione di tendenza, ma il fenomeno è in atto, e non manifesta segni di cedimento.
Una delle ragioni di questo rinnovato interesse per l'arte figurativa può essere ricercata nella migliore facilità comunicativa dell'opera: se il soggetto raffigurato è riconoscibile, è più facile per l'osservatore formulare una propria valutazione estetica del pezzo. Se il sentimento espresso è manifesto, sarà più facile poter entrare in empatia con l'opera d'arte. In altri termini, l'opera piace perché comprensibile, e non perché suggerita da altri.
Una seconda ragione, legata alla prima e credo oggi più che mai emergente, è una certa assuefazione all'arte astratta e concettuale, sempre più sovente realizzata con poco sforzo e scarsa fantasia. Non senza ragione, in molti hanno cominciato a sospettare delle proposte artistiche delle gallerie, impegnate a fornire una giustificazione ad opere che in tutta evidenza non avevano richiesto alcun particolare impegno realizzativo, o che presentavano per l'ennesima volta lo stesso soggetto senza alcuna variazione di rilievo.

Con ciò non intendo dire che l'arte astratta non abbia una sua ragione d'essere; esistono naturalmente artisti capaci, che con l'astrattismo riescono ad esprimere concetti profondi e suscitare emozioni ed interrogativi nell'osservatore. Tuttavia, in ragione di una presunta opposizione all'Accademia ed al classicismo, estesa senza distinzione all'arte figurativa in sé, per lungo tempo gli artisti dediti al figurativo hanno subito una forma di ostracismo da parte dell'intellighenzia artistica, così che, col tempo, al termine "contemporaneo" si è di fatto associato unicamente il genere astratto o concettuale.
Solo recentemente, finalmente, si è tornati a comprendere che anche con l'arte figurativa è possibile fare arte "contemporanea": contemporaneo nel senso di attuale, contingente. Un'opera d'arte, per essere tale, deve poter suscitare non solo emozioni, ma possibilmente far emergere interrogativi in chi la osserva. L'arte, se è tale, è sempre contemporanea. Tematiche contingenti come i flussi migratori, il cambiamento climatico, la dignità della donna, l'isolamento dell'uomo "socialmente connesso", possono essere espressi meravigliosamente con l'arte figurativa: basta esserne capaci.

Questo genere contemporaneo, anche detto "Contemporary Fine Art", ha trovato una sua felice collocazione nel museo d'arte contemporanea figurativa di Barcellona, il MEAM - Museu Europeu d'Art Modern. Inaugurato nel 2011, costituisce oggi un vero faro per gli artisti che amano questa forma d'arte applicata all'arte contemporanea. Le ragioni fondative di questo incredibile museo sono ben espresse nel suo Manifesto, di cui cito un estratto:

Questa nuova espressione richiede [...] un’arte diretta, espressiva, completa, assoluta, reale, comprensibile e fantastica, capace di generare illusioni e di risvegliare ammirazioni in tutti gli spettatori che, in questo modo, potranno riappacificarsi con l’arte del proprio tempo e sognare illusioni ad oggi completamente dimenticate. 
Pertanto, l’arte deve essere assimilabile dallo spettatore, deve essere capace di comunicare con lui, di creargli illusioni, di risvegliare ammirazione, di aprire il cassetto dei sogni. L’arte deve essere diretta all’uomo comune, non all’erudito o allo specialista. L’arte deve parlare il linguaggio del popolo, non degli accademici. 

L’intellettuale può scrivere interessanti saggi riguardo l’essenza dell’arte, ma l’artista non vive di quei saggi. Gli accademici possono applaudire artisti già consacrati, ma questo non gli garantisce di riuscire a sopravvivere al proprio tempo. L’unico significato dell’arte è la capacità di stabilire un contatto con la gente, di raggiungere le persone di quel periodo storico, di arrivare alla sensibilità di uno spettatore medio e sedurlo. La cosa certa é che per fare ciò non servono titoli, né diplomi. È sufficiente saper creare. 

Il resto dell'articolo è leggibile al seguente link:
https://www.meam.es/it/about/

#meam #museueurpeudartmodern #contemporaryfineart #scultpure #artefigurativacontemporanea
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Javier Marin - CORPUS

8/24/2018

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Al Mudec di Milano (Museo delle Culture) fino al 9 settembre sarà visitabile la mostra intitolata "CORPUS", antologica dedicata allo scultore messicano Javier Marin (1962).
Le opere in mostra, molte di dimensioni monumentali, ripercorrono la produzione dell'artista.

Quasi tutte le opere di maggiori dimensioni sono realizzate in resina poliuretanica, materiale durevole e leggero, più pratico (ed economico) del bronzo.
Il segno di Marin è chiaramente distinguibile: l'artista incide le proprie opere modellate in argilla, le divide in conci, ne fa eseguire i calchi, ne ricava le copie in resina, ed infine riassembla i pezzi lasciando bene in evidenza le giunture.
Il taglio delle opere, da principio un mero processo tecnico per dividere in pezzi di dimensioni contenute le opere ciclopiche al fine di poterne eseguire calchi e copie in resina, ha assunto nel tempo una funzione a sé stante, cui l'artista ha voluto attribuire un valore decostruttivo-ricostruttivo.

Per eseguire le proprie opere l'artista si avvale di una equipe di artigiani che lo aiutano nelle fasi di realizzazione dei calchi e delle copie in resina, ma cui delega anche azioni con un valore estetico, laddove gli affida il riassemblaggio dei conci e la materiale "sutura" dei lembi, sovente con filo di ferro in piena vista.
In mostra sono presenti anche alcune fotografie dei propri collaboratori, e di questo lavoro di equipe. Marin non ha infatti voluto nascondere il lavoro di "bottega" che si cela dietro all'opera, ma al contrario ha voluto attribuivi uno specifico valore aggiunto.

La potenza delle sculture di Marin fa leva sulle grandi dimensioni delle opere, e sui richiami classici delle pose, michelangiolesche nella loro struttura e muscolatura, e precolombiane nelle fattezze espressive.
Nella foto in calce vi propongo un accostamento tra la Sibilla Delfica, affrescata da Michelangelo nella volta della Cappella Sistina, ed una "testa di donna" di Javier Marin.
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La luce dell'annuncio

4/28/2018

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Giovedì 3 maggio presso lo Studio Demarchi si è svolta l'inaugurazione della mostra "La luce dell'annuncio", personale del maestro astrattista Roberto Demarchi dedicata a temi tratti dai quattro vangeli, con la presentazione di una mia scultura in bronzo a tema votivo (Madonna della Scala, da Michelangelo).
La mostra è visitabile su appuntamento fino a giovedì 31 maggio (tel. 348-0928218).
Spazio espositivo Demarchi, corso Rosselli 11,  Torino.

A margine, alcune foto dell'inaugurazione.

Articolo di Andrea Donna sul sito ArteVita:
https://artevitasite.wordpress.com/2018/04/27/roberto-demarchi-presenta-francesco-zavattaro-ardizzi-scultore/
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Con il Maestro Demarchi
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"Madonna della Scala" (da Michelangelo)
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Si scrive "multiplo", si legge "copia"?

4/21/2018

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“Le penseur”, Auguste Rodin. Esemplare n. 1 conservato al Musée Rodin a Parigi.
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“Balloon dog”, Jeff Koons. Versione “orange” dell’edizione limitata in scala monumentale.
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“Balloon dog”, Jeff Koons. Multiplo della serie di 2300 pezzi in scala ridotta, in ceramica.
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“Balloon dog”, Jeff Koons. Multiplo della serie di 2300 pezzi in scala ridotta, in ceramica. Dettaglio dell'adesivo riportante il numero di serie.
Uno degli aspetti più peculiari della scultura, è la possibilità materiale di farne calchi e copie.

Il calco di una scultura veniva un tempo eseguito unicamente prendendo l'impronta della scultura con del gesso. Ovviamente non veniva realizzato un pezzo unico, ma il calco in gesso veniva eseguito per conci, in maniera tale da poterlo smontare dal modello e rimontare per l'esecuzione della copia.
L'esigenza di realizzare dei calchi nasceva tecnicamente dal fatto di non poter salvare il modellato in creta (cuocendolo) per ragioni dimensionali o perché se ne intendeva ricavare un "modello" in materiale stabile e non deperibile (tipicamente in gesso) dal quale poterne ricavare la versione "finale" in materiale più pregiato e durevole (bronzo o marmo).

Con l'inizio dell'era "moderna", la produzione delle copie divenne non più un'esigenza tecnica, ma una questione commerciale. Con l'avvento dell'era industriale, l'ascesa di una committenza borghese e lo sviluppo delle economie del Nord America il mercato cominciò a richiedere una sempre maggior quantità di opere agli scultori più affermati. La produzione di copie in serie numerata prese avvio con metodo proprio con scultori come Auguste Rodin, chiamati a fornire le proprie opere per collezionisti di ogni parte del mondo occidentale. Basti pensare che del celebre "Pensatore" esistono 20 esemplari sparsi tra i musei di tutto il mondo.

Da qualche decennio a questa parte lo sviluppo delle gomme siliconiche ha incredibilmente agevolato la riproduzione delle sculture. Non sono più necessari complicati stampi ad incastro in gesso, e la fedeltà di riproduzione garantita dai siliconi è impressionante (consentono di recuperare l'impronta digitale lasciata dai polpastrelli sulla creta). Questo ha per un verso semplificato il lavoro degli artisti e degli artigiani che lavorano per gli artisti (fonderie e laboratori di lavorazione del marmo), riducendo enormemente le tempistiche di produzione di un calco. Per l'altro, ha esposto la scultura ad un nuovo fenomeno, pericoloso sul piano della garanzia dell'originalità dell'opera.
Chiunque possieda una scultura, oggi ne potrebbe agevolmente eseguire una copia, specie se di ridotte dimensioni.
In passato questo aspetto ha causato non pochi problemi di attribuzione di opere di autori ormai scomparsi, non più in grado di smascherare il falso, e speculazioni fraudolente.
In soccorso dei collezionisti e degli artisti il legislatore ha introdotto il "certificato di autenticità" (in Italia normato dal D.L. n.42/2004) elemento divenuto imprescindibile in qualunque trattativa commerciale che abbia per oggetto opere d'arte.
In questo certificato, lo scultore si attribuisce la paternità dell'opera, e ne dichiara la tiratura.
Nel caso di autori ormai deceduti, sono spesso le "fondazioni" curate dagli eredi a rilasciare i certificati di autenticità. Anche questo fenomeno però si presta a possibili abusi, dal momento che il certificato di autenticità "postumo" è rilasciato dietro corrispettivo di una somma di denaro.

Tipicamente la tiratura si compone di alcune "prove d'artista" (sigla PA od AP) numerate con numeri romani progressivi (es. AP II), e di una serie limitata di esemplari "ufficiali" numerati in serie (es. 1/3 per il primo esemplare di una serie programmata di 3 fusioni).
Non necessariamente la tiratura deve essere tutta eseguita dal principio; l'importante è che la numerazione e la sequenzialità sia rispettata. L'autore è responsabile verso l'acquirente della veridicità della dichiarazione, anche in termini legali.
Le serie numerate per tradizione si contano in multipli di tre (3/6/9). In Italia, fino a 9 esemplari l'opera può essere definita "pezzo unico" (il che obiettivamente genera una confusione di termini), sopra questo numero si parla di "multipli". In entrambi i casi le opere devono riportare la firma dell'autore.
Naturalmente la quantità di esemplari "tirati" incide anche sull'appetibilità dell'opera sul mercato, e sul suo valore.
Questo è particolarmente evidente nel caso dei "multipli", soprattutto quando riprodotti in grande numero (a volte centinaia o migliaia di pezzi).
Il mercato dei "multipli" ha raggiunto in questi ultimi anni dimensioni incredibili. Il famoso "balloon dog" di Jeff Koons è stato riprodotto, oltre che in edizione limitata di tre pezzi (di dimensioni monumentali, in lega metallica), anche in edizione “multipla" (in scala ridotta, in ceramica). Il "multiplo" è stato tirato in serie di 2.300 esemplari, al prezzo di vendita compreso tra i 2.000 $ ed i 5.000 $. Certamente più "affordable" dell'esemplare monumentale quotato tra i 35 ed i 55 milioni di dollari, ma tutto sommato ancora molto, se si pensa alla sua estrema diffusione.

Quello dei "supermultipli" è un mercato relativamente recente, che si avvicina più all'oggettistica di design che non all'arte. Oggi diversi musei vendono nei bookshop dei multipli delle opere esposte (per lo più ristampe di foto o serigrafie). Di per sé non vi è nulla di esecrabile. L'importante, quando si compra un'opera d'arte, è saper leggere bene tra le righe del "certificato di autenticità", per evitare di sopravvalutarne il valore.

Un discorso a parte va fatto per le vere e proprie "copie", ossia le tirature dell'opera eseguite da terzi, seppur legalmente (ad esempio da parte degli eredi dell'artista).
Questi esemplari devono riportare ben impressa la dizione "COPIA" oltre alla eventuale numerazione, e non dovrebbero riportare la riproduzione della firma dell'artista.
E' in effetti buona norma non firmare il modellato in creta per evitare di riprodurre nel calco anche la firma, ma di apporla direttamente sull'esemplare in cera in fonderia.
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Lo scultore ed il marmo

4/15/2018

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Gian Lorenzo Bernini, "Ratto di Proserpina" (Museo Nazionale di Villa Borghese, Roma)
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Dettaglio dal "Ratto di Proserpina"
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Giuseppe Sanmartino, "Cristo velato" (cappella Sansevero, Napoli)
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Patrick Tuttofuoco, "The Power Napper"
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Dettaglio da "The Power Napper"
La scultura in marmo è probabilmente la versione più nobile tra quelle possibili. Non solo per il valore del materiale (un blocco di marmo pregiato può costare svariate migliaia di euro), ma anche, in campo figurativo, per la possibilità di rendere il contrasto tra la fredda materia ed il tenero incarnato, per la trasparenza che ne caratterizza alcune varietà (marmo statuario), per la possibilità di modulare luci ed ombre giocando con il grado di finitura (lucido od opaco).
In Italia possiamo vantare una grande tradizione nella scultura del marmo, che ha consentito la produzione nel tempo di assoluti capolavori come "Il ratto di Proserpina" od il "Cristo velato", in cui il marmo è stato incredibilmente trasformato dal lavoro dello scultore.

Alcuni scultori sono passati alla storia proprio per l'abilità con cui hanno imparato a lavorare il marmo. Primo tra tutti Michelangelo, poi superato in abilità dal Bernini. Tuttavia, specialmente nella loro maturità artistica, pochi di essi continuarono a scolpire integralmente le proprie opere. Bernini per esempio delegava ai suoi assistenti buona parte dei dettagli esecutivi (come per esempio le foglie dell'"Apollo e Dafne", realizzate da un suo allievo), preferendo concentrarsi sulla prima fase di impostazione della figura.
Altri scultori, al contrario, si limitavano a dare l'ultima mano di finitura alle opere, e delegavano ai propri numerosi assistenti tutta la fase di copia dal modello (questo sì realizzato dall'artista).
Tra di questi scultori vi sono valenti esempi, come il Canova, o, in tempi più recenti, Auguste Rodin. 
Tuttavia, se quantomeno il Canova riprendeva il lavoro di finitura sulla scultura ormai portata allo strato semi-finito, di Auguste Rodin è invece comprovato che non abbia mai scolpito egli stesso il marmo, limitandosi nel migliore dei casi ad apportare eventuali lievissime modifiche, ed a firmarlo.
Nulla di scandaloso, beninteso. L'opera dell'artista era concentrata nella modellazione dell'opera in creta; tutte le produzioni successive (modello in gesso, colata in bronzo o copia in marmo) potevano/dovevano essere demandate ai propri assistenti, anche per far fronte alle richieste del mercato.

Ancora oggi in Versilia vi sono laboratori artistici specializzati proprio nella riproduzione in marmo dei modelli realizzati dagli artisti.
Il lavoro di sbozzatura del marmo è stato notevolmente semplificato dall'avvento della tecnologia informatica. Partendo dalla scansione 3D del modello ne riproducono una versione in marmo con l'impiego di macchine fresatrici a controllo numerico. Perde un po' di poesia, ma velocizza il lavoro di sbozzatura, che può essere portato a livelli davvero molto vicini alla resa finale. Poi interviene il mastro scalpellino, o l'autore stesso, che apporta le ultime finiture.
L'artista può anche scegliere di lasciare in vista i segni della macchina fresatrice, come per esempio fatto da Patrick Tuttofuoco nell'opera recentemente esposta a Torino alle OGR (immagine a lato). In questo caso l'artista ha fatto eseguire una scansione 3D del figlio appisolato, e ne ha fatto ricavare un "semifinito" da un'officina artistica per mezzo di una macchina fresatrice a controllo numerico.

Ma allora, l'opera in marmo è un falso?
No, così come non lo è quella in bronzo (ovviamente realizzata in fonderia). In genere, sia la copia in marmo che quella in bronzo discendono dall'opera modellata dallo scultore, che però, nella gran parte dei casi, è effimera, o realizzata con un materiale meno pregevole e durevole. In questi casi il modellato va perso, e l'originalità viene trasferita di fatto alle copie ricavate dal modello, siano esse in marmo, in bronzo, in resina, in gesso...

​Ok, ma se allora possiamo considerare "originale" anche la riproduzione eseguita dal modello, quanti esemplari è lecito che l'artista ne ricavi? Ha ancora senso parlare di "opera d'arte" nel caso di serie di centinaia o migliaia di pezzi (cosiddetti "multipli")?

E nel caso della "modellazione digitale", possiamo ancora parlare di "scultura"? Non è forse più simile ad una "fotografia" che non alla scultura tradizionale?

Materia per molti altri post... Per ora chiudiamo qui.
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David contro David

2/24/2018

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Il David di Donatello (Museo Nazionale del Bargello, Firenze)
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Il David di Michelangelo (Gallerie dell'Accademia, Firenze)
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Il David del Bernini (Galleria Borghese, Roma)
In questo post vi propongo un confronto tra le tre più note raffigurazioni scultoree del David.
In ordine di comparsa: il David di Donatello, quello di Michelangelo, ed infine quello del Bernini.

Il David di Donatello è una statua in bronzo alta circa 1 metro e mezzo, in scala di poco inferiore al vero. Data di realizzazione e committenza sono incerti, Risalirebbe alla metà del ‘400, e si sa che appartenne ai Medici. Date le ridotte dimensioni, pare comunque ragionevole supporre sia stata concepita per una esposizione domestica, non in pubblica piazza.
Donatello rappresenta David come un ragazzino efebico, caratterizzato da fianchi stretti e pochi muscoli, il dorso quasi femminile. È nudo, ma indossa un buffo cappello a forma di scolapiatti con motivi agresti, e dei calzari.
David è raffigurato vittorioso, il duello con Golia si è già compiuto.
Tiene nella destra la spada con cui ha appena reciso la testa del gigante, dopo averlo stordito con un colpo di frombola.
Il pugno sinistro è posato con civetteria sul fianco, e serra il fatidico sasso. Il peso è poggiato sulla gamba destra. Il piede sinistro è posato sulla testa mozzata di Golia, come farebbe un cacciatore in posa con una fiera abbattuta. David ha un’espressione soddisfatta, sembra quasi ammiccare: è conscio dell’impresa compiuta, e sembra volerci dire “Avete visto? Grande e grosso, ma l'ho sconfitto!”.

Il David di Michelangelo, realizzato una sessantina d’anni dopo, è per certi versi l’opposto.
La statua è monumentale (più di quattro metri d’altezza, oltre al piedistallo). E' stata realizzata da un unico blocco di marmo fornito dal committente (la Fabbrica del duomo), destinata sin dal principio ad un’esposizione al pubblico.
Il David è rappresentato prima che si compia il duello.
David osserva dalla distanza il proprio avversario, lo studia. Nella mano destra tiene celata una pietra. Nella sinistra una frombola, risvoltata sulla spalla.
È un giovane forte, robusto, virile. Non è più un ragazzino.
Usa la testa, prima ancora del fisico, e l'osservatore sa che avrà successo.

Ultimo in ordine cronologico, Bernini sceglie di differenziarsi dai due maestri che lo avevano preceduto.
Il David del Bernini fu realizzato nel 1624 su commissione del suo mecenate, il cardinale Scipione Borghese, per essere inserito nella collezione privata collocata nel palazzo di Villa Borghese (ed è ancora lì).
Bernini aveva 26 anni, la stessa età alla quale Michelangelo iniziò il David. Pare che il rapporto di Bernini con Michelangelo fosse caratterizzato da stima e competizione (virtuale). Bernini voleva superare tutti, e sapeva del resto di avere capacità fuori dal comune.
Bernini sceglie di portare alla difficoltà estrema la rappresentazione del David. Il David del Bernini non viene rappresentato nè prima, nè dopo il duello. Il David è raffigurato durante il duello, nell’esatto istante in cui, in una posa dinamica pietrificata, sta tendendo all'indietro la frombola per iniziare il movimento rotatorio con cui a breve proietterà l'acuminato sasso diritto sulla fronte del gigante Golia.
Anche in questo caso, come in Michelangelo, il David è un ragazzo robusto e maturo, e non un giovinetto. La frombola è tenuta con la destra, nella mano sinistra tiene un ciottolo spigoloso. Il corpo è avvitato su se stesso, è una molla colta nella fase di carica. David sta raccogliendo ogni energia per scagliare la breccola con la massima potenza possibile. Le labbra sono serrate, l’arco sopraccigliare inarcato, le narici allargate. Pare quasi di sentire un soffio d'aria uscire dalle sue narici. Tutti i muscoli sono tesi, persino le dita dei piedi sono contratte e si aggrappano al terreno, come un tuffatore pronto a lanciarsi da una piattaforma.

I tre David, messi a confronto, offrono una percettibile lettura del periodo storico ed artistico in cui sono stati realizzati: umanesimo, rinascimento, e barocco.
Semplificando molto, anche per non far diventare questo post troppo lungo: la capacità dell’uomo di determinare il proprio destino (Donatello); il primato dell'intelletto (Michelangelo); ed infine la ricerca della meraviglia (Bernini).
L’arte è testimonianza del proprio tempo.
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Il David di Michelangelo, o lo Hobbit?

2/18/2018

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Riconosciuto capolavoro universale, il David presenta alcune caratteristiche curiose.

La scultura, oggi collocata nella Galleria dell'Accademia, a prima vista colpisce per l'armonia della composizione.
Il David è nudo, colto mentre studia da distanza di sicurezza il proprio avversario. Con la mano sinistra tiene la frombola, appoggiata con nonchalance sulla spalla, quasi fosse una sciarpina. Nella destra cela una pietra compatta.
I muscoli sono ben definiti, ma rilassati, La superficie del marmo è estremamente curata, levigata o lasciata ruvida a seconda dei casi per esaltare luci ed ombre.
La statua è alta, molto alta: 405 cm, più il basamento.

Ad uno sguardo più ravvicinato, si resta colpiti dalla perfezione dei particolari anatomici (la bocca,  le mani,  gli occhi, le orecchie, la vena sul collo...).
Però, ad osservarlo da vicino, le proporzioni non tornano.
A guardarlo bene, il David appare un po' "tappo", quasi uno Hobbit.
Testa e mani in particolare sono più grosse di quanto ci si aspetterebbe. Il pene, in compenso, è piccolo.
Sul tema, c'è chi sostiene sia stata una scelta precisa dell'artista.
Non tanto per ragioni prospettiche (varrebbe per la testa, ma non per le mani), quanto ideali.
La testa e le mani rappresenterebbero la volontà e la capacità di realizzare grandi imprese, ed il sesso rimanderebbe invece alla parte istintiva e passionale dell'uomo.
Quindi, la ragione e la capacità che prevalgono sull'istinto e la passione.
Beh, poi occorre considerare che l'opera è nata come una commissione sacra, da mettere su un contrafforte della cupola del duomo.
Di fatto, però, non vi arrivò mai.
​
L'enorme statua (la prima di genere monumentale per i tempi) assunse da subito, ancor prima di essere terminata, un significato politico per la giovane repubblica fiorentina (correva l'anno 1501).
Volto verso sud, posto davanti all'ingresso di Palazzo Vecchio (sede del governo della città), il giovane David, coraggioso, forte e nelle grazie del Signore, prossimo a sconfiggere il gigante Golia, rappresentava perfettamente la repubblica fiorentina.
Il successo conclamato della statua (che pare fece ingelosire non poco altri artisti contemporanei, in primis Leonardo Da Vinci), aveva indubbiamente una ragione di carattere estetico, ma di sicuro vi contribuì non poco la chiave di lettura politica.
Eppure, la commissione era per una statua di genere religioso, da posizionare su uno dei contrafforti della cupola del duomo.
ll blocco di marmo sarebbe stato fornito dalla Fabbrica del Duomo. Il contratto prevedeva due anni di tempo per consegnare la statua finita, ed un compenso per l'artista.
Michelangelo ai tempi era già uno scultore affermato (nato nel 1475, aveva ben 26 anni), ma la commissione dovette apparirgli tutt'altro che semplice.
Il grosso blocco di marmo (circa 410 cm di lunghezza) era già stato sbozzato da due valenti scultori una quarantina d'anni prima, e giaceva abbandonato nei magazzini dell'Opera del Duomo. Gli scultori che vi avevano lavorato lo avevano probabilmente abbandonato a causa della scarsa qualità del marmo, caratterizzato da diffuse cavità ("tarli" del marmo) e venature (zone di transizione più facilmente soggette a rottura). Inutile dedicare del tempo ad un'opera destinata a rompersi sotto i colpi del martello.
Il blocco, per giunta, era già stato sbozzato a livello delle gambe. Le proporzioni erano quindi vincolate.
Michelangelo accettò comunque la sfida, ma probabilmente questa è la ragione delle proporzioni generali del David.

Un ulteriore indizio interessante è stato rinvenuto nel corso dei lavori di restauro condotti negli anni novanta. 
Sulla sommità della statua è stata rinvenuta, nascosta dalle volute della chioma, la "scorza vecchia" (la superficie del blocco originario, come trasportato dalla cava), indizio del fatto che Michelangelo ha colto fino all'ultimo millimetro le possibilità offerte dal blocco che gli era stato assegnato,
E se consideriamo che la figura in parte era già stata sbozzata da altri scultori, è probabile che Michelangelo abbia fatto del suo meglio per rendere la figura di David, pur conscio del difetto di proporzioni.

Un'ultima curiosità. Il David è mancino: tiene la frombola con la sinistra. Difficile dire se la posa derivi da esigenze realizzative (il blocco di marmo era già stato sbozzato in precedenza), o se sia una scelta dell'artista. Però pare che anche Michelangelo fosse mancino.
​
Si dice che ogni opera sia una confessione dell'artista.
Credo che anche questa non faccia eccezione.
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La maquette

2/12/2018

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“Madonna con Bimbo al seno”, 2018
La maquette (bozzetto) è un modellino in scala ridotta di un’opera che si intende realizzare, utile per prendere confidenza con postura e proporzioni del soggetto.
Ve ne sono di meravigliosi esempi in Casa Buonarroti a Firenze, così come al Museo del Bargello.

In foto, bozzetto in scala 1:4 per una Madonna con bambino ispirata alla “Madonna della scala”, bassorilievo giovanile di Michelangelo conservato al museo Casa Buonarroti a Firenze (foto in calce).
Nel bassorilievo originale sembrerebbe esserci un errore nelle proporzioni della musculatura del Bambino Gesù, forse indotti dalla posizione torta del dorso.
Nello studio preparatorio ho ridotto lievemente le proporzioni ed accentuato la torsione del Bimbo, rivolto al seno della Madre.

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Michelangelo Buonarroti | Madonna della scala (1491 circa)
Foto
Studio preparatorio da “Madonna della scala”, 2018
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Auguste Rodin

1/12/2018

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Ad Auguste Rodin viene attribuito il seguente aforisma:

Scelgo un blocco di marmo e tolgo tutto quello che non mi serve.
(in risposta a chi gli chiedeva come riuscisse a creare le sue statue)

Già. Peccato che Rodin non abbia mai "scolpito" il marmo.
Rodin "modellava" la creta od il gesso, e poi incaricava degli artigiani scalpellini di eseguirne le copie in marmo. Ne ha cambiati più di una quarantina, stando ai suoi libri contabili. A volte li cambiava perché ne trovava di meno cari, altre volte perché erano gli stessi artigiani trovavano artisti-committenti più generosi, altre ancora perché gli artigiani si prendevano l'iniziativa di apportare modifiche o maggiori dettagli al modello creato da Rodin.
Ma non si pensi che il fatto di affidare a terzi l'esecuzione delle copie fosse un atto disdicevole, Semplicemente, l'atto creativo dell'artista si concentra nella creazione dell'opera, e nel caso della scultura questo accade per la quasi totalità dei casi con l'argilla. Poi dall'argilla si ricavano copie in gesso, in marmo, in bronzo, in resina, e materiali vari... (alla Biennale di Venezia del 2017 un artista ha esposto delle sculture di pane),
E poi le statue di Rodin erano molto richieste, anche delle più note ne sono stati prodotti molti esemplari. Impensabile che le producesse tutte lui. E poi chi l'ha detto che la scultura deve essere solamente in marmo? C'è anche il bronzo. Ed il bronzo, non viene forse realizzato da artigiani esperti del mestiere? Lo stesso valga per il marmo.
​Una nota curiosa: alla sua morte Rodin ha lasciato i diritti di replica alla Repubblica Francese, così oggi si potrebbero in teoria ancora "stampare" delle repliche dai calchi originali.

Beninteso, non vorrei essere frainteso. Rodin rimane un maestro della scultura. Un vero creatore, che nell'argilla ha ritratto l'essenza dei suoi soggetti, ricorrendo a pochi tratti essenziali.
Ma l'aforisma sopra citato non gli si addice, e preferisco pensare gli sia stato impropriamente attribuito.
In lui riconosco invece il seguente:

“Quand un bon sculpteur modèle des corps humains, il ne représente pas seulement la musculature, mais aussi la vie qui les réchauffe.”
​

Auguste Rodin


Per approfondimenti sul tema: Aline Magnien – Rodin. Il marmo, la vita – Electa/Palazzo Reale – 2013
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Auguste Rodin, "Le baiser"
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Il Lacoonte, di Michelangelo

1/12/2018

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E' un'ipotesi che ultimamente viene assi discussa.
Personalmente la trovo molto intrigante, e verosimile.

Il Lacoonte fu rinvenuto casualmente in una voragine creatasi all'improvviso nel terreno di una vigna fuori Roma nel 1506, in un terreno privato.
Casualmente, si trovava in quei giorni a Roma il giovane Michelangelo, che subito accorse al rinvenimento.
La scoperta suscitò scalpore, perché lo stesso Plinio aveva decantato quest'opera, ai tempi data per dispersa.
Vi sono numerose affinità tra il Lacoonte e le sculture di Michelangelo (sia per composizione, che per raffigurazione), e poche affinità tra il canone ellenistico e quest'opera. Ma soprattutto, vi sono molti indizi ed incongruenze che oggi siamo in grado di apprezzare, che lasciano propendere per questa ipotesi. Non ultimo il rinvenimento nel 1905 di un pezzo mancante, corrispondente proprio al bozzetto "suggerito" (ma non troppo) da Michelangelo per il completamento del gruppo scultoreo.
E poi, l'opera non fu pagata per il prezzo inizialmente concordato.. ed uno dei prigioni presenta analogie impressionanti con la posa del Lacoonte.
Insomma, si potrebbe scriverne un romanzo...
Ne ha scritto bene Alberto Cottignoli. Qui trovate un rimando al suo sito web.

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Il Lacoonte "integrato" dopo il rinvenimento (calco, con braccio disteso), ed il Lacoonte completato del pezzo mancante (rinvenuto nel 1905, con braccio piegato).
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Intervista a Lorenza Salamon

1/12/2018

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Un’interessante intervista a cura di Michela Ongaretti con Lorenza Salamon (dell’omonima galleria in Milano) a proposito dell’arte figurativa nell’attuale contesto dell’arte contemporanea.

http://artscore.it/disegno-bellezza-salamon-ongaretti/
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Grandart Modern & Contemporary Fine Art

1/12/2018

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Una “prima” dedicata alla “Fine Art” che credo troverà seguito ed apprezzamento. Trovo che “Contemporary Fine Art” sia una bella definizione: una selezione all’interno dell’immensa produzione dell’arte contemporanea, riservata alle opere degli artisti che dedicano studio, talento e tecnica alla propria produzione artistica.

http://artscore.it/grandart-art-fair-ongaretti/
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